I Luoghi della Certosina


Certosa di Firenze

La Certosa di Firenze

Certosa di Firenze

La Storia della Certosa di Firenze

Fu edificata a partire dal 1341 da Niccolò Acciaiuoli, Gran Siniscalco del Regno di Napoli e membro di una delle più illustri casate fiorentine su modello della Grande Chartreuse, la prima casa dell’ordine dei certosini costruita sul Massiccio della Chartreuse, vicino a Grenoble, e come tutte le certose anche questa è ubicata distante dalla città, in un luogo in origine solitario e silenzioso.
Dopo le soppressioni degli ordini religiosi nel 1810 la Certosa venne spogliata di circa 500 opere d’arte, solo in parte restituite dopo la restituzione ai Certosini e il ritorno dei Lorena (1818). Molti degli arredi vennero irrimediabilmente dispersi. La tavola dell’altare maggiore, commissionata dallo stesso Niccolò Acciaiuoli a Gherardo Starnina (Madonna e Santi), è ora divisa fra musei stranieri e collezioni.
La Certosa è composta da vari edifici: chiesa di San Lorenzo, sala capitolare, sagrestia, refettorio, chiostri, officine ed abitazioni per i monaci ed i conversi. I monaci di clausura disponevano di una cella piuttosto grande, poiché vi dovevano trascorrere la quasi totalità della loro esistenza, in meditazione.
Lo spazio era fondamentale per i monaci, vista la loro condizione di isolamento: gli unici momenti di aggregazione, eccettuati i pranzi domenicali/festivi, erano le funzioni in chiesa e l’ora settimanale di conversazione e ricreazione, che si svolgeva nel cosiddetto “parlatorio”, opera mirabile per i sedili in legno e le vetrate policrome del 1500-1600 (le prime due più semplici, le altre molto elaborate).
La fondazione della chiesa di San Lorenzo, a navata unica, risale al Trecento: fu iniziata nel 1341 e consacrata nel 1394.
Straordinari sono gli stalli in noce intagliati, opera del 1570-1590 di Angelo Feltrini, con l’aiuto dei figli di Giuliano di Baccio d’Agnolo e Domenico Atticciati. Si distinguono per la ricchezza della decorazione e la fantasia delle figure intagliate. Il coro trecentesco invece si trova nell’altra chiesa della Certosa, Santa Maria Nuova.
Di legno intagliato sono anche le statue dei santi poste in cima all’abside dell’altare: ad un primo sguardo, esse inganneranno l’osservatore, poiché furono dipinte di bianco, a simulazione del marmo, per evitarne il saccheggio durante le campagne napoleoniche.
Il pavimento a marmi policromi, costruito nel coro nel 1573 e nel presbiterio tra il 1591 e il 1594, fu ispirato ad altre opere fiorentine che a loro volta si rifanno alla tradizione della decorazione dei più sontuosi edifici antichi di Roma.
Nella sagrestia della chiesa si trovano gli affreschi più antichi di tutto il complesso: un Cristo benedicente, due santi con cartiglio, un angelo con la spada e un’Annunciazione su due pannelli.
I Certosini, monaci di rigida clausura, vennero sostituiti nel 1958 dai benedettini cistercensi, che hanno reso accessibile il vasto complesso anche al pubblico. Dal 2017 i cistercensi sono stati sostituiti dalla Comunità di San Leolino.


Galluzzo

Galluzzo

Le Origini del Galluzzo

Alcuni attribuiscono l’origine del curioso nome del borgo alla nobile famiglia Galluzzo o Galluzzi (nei testi di archivio in latino compaiono come Gallutius) di antiche origini bolognesi e legata al partito guelfo, che in questa zona aveva possedimenti ed esercitava l’attività di “biadaioli”, e che aveva per stemma proprio un gallo d’oro in campo azzurro, o nel ramo dei podestà di Volterra, portava in araldo un gallo rosso in campo d’argento. Altri ancora affermano che il nome Galluzzo derivi da una vecchia osteria posta lungo la strada che da Firenze andava verso Roma, che aveva un’insegna appunto a forma di gallo di probabile origine romana. Va detto anche però che questa insegna non era altro che la riproduzione di un galletto scolpito sopra una pietra miliare a colonna posta ai bordi di quella strada. È probabile che quest’ultima ipotesi sia la più accettabile, dato che anche lo storico Andrea Dei, nella sua Cronica Senese del 1253 afferma che “una compagnia di armati senesi e pisani fece una rapida scorreria infino alla pietra del Galluzzo presso Firenze, e per onta tagliarono il capo al galluzzo”.

Il tardo duecentesco borgo del Galluzzo Vecchio, che in origine doveva essere costituito da una quindicina di case e ville sparse tra il ponte della Certosa e la chiesa di Santa Lucia a Massapagani, si sviluppò con un gruppo di edifici di abitazioni, sorto all’angolo di via Massapagani con via Barni attorno ad una casa da signore del ‘300.


Impruneta

Impruneta

La Storia di Impruneta

Impruneta è celebre soprattutto per l’industria della terracotta (il cosiddetto cotto di Impruneta), per la tradizionale e per la Festa dell’Uva, che si svolge ogni ultima domenica di settembre.
Le sue tradizioni risalgono all’epoca etrusca, successivamente la posizione geografica, le potenzialità del suolo e la relativa vicinanza da Firenze favorirono la nascita di un agglomerato romano.
Il santuario mariano che vi si trova è sicuramente uno dei fattori che hanno reso noto il comune. Notevole anche la piazza Buondelmonti che con i suoi loggiati della fine del Cinquecento ospita le principali feste cittadine.
Tracce di insediamenti etruschi e testimonianze archeologiche rinvenute all’Impruneta rimandano infatti ad un’origine remota del paese, così come è certa la presenza romana testimoniata dai toponimi indicanti le località di Quintole, Valiano, Fabbiolle.
Dotata di uno statuto nel 1415, era governata dal Podestà e da un consiglio formato da undici membri; la Lega, divenuta successivamente Potesteria del Galluzzo, fu divisa nel 1536 con un’ordinanza di Alessandro de’ Medici in quattro quartieri: Legnaia, Santa Margherita a Montici, Giogoli e Santa Maria all’Impruneta.
La successiva trasformazione della Potesteria in Comune, che portò alla separazione sia da Legnaia che da Casellina e Torri, definì 21 popoli nella nuova comunità del Galluzzo.
Dal gennaio 1929 Impruneta è comune autonomo.
Impruneta ha mantenuto nel tempo un forte legame con Firenze: dapprima residenza di campagna di nobili casate come Gherardini, Ricci, Rossi, Antinori, Corsini, poi luogo di villeggiatura per molte famiglie cittadine, oggi il paese e la sua campagna sono preferiti come residenza permanente grazie alla particolare posizione geografica, la facilità delle vie di comunicazione e le ottimali condizioni climatiche.
Gli embrici della cupola di Santa Maria del Fiore del Brunelleschi, i materiali da costruzione delle ville medicee e di tanti palazzi signorili, le sculture dei Della Robbia rappresentano gli aspetti concreti del collegamento culturale tra Impruneta e la città di Firenze.


Greve in Chianti

Greve in Chianti

La Storia di Greve in Chianti

L’ attuale territorio di Greve è una terra di antico insediamento, come provano la stratificazione toponomastica ed alcuni ritrovamenti (Canonica, Citrulle, Casole, Lucolena), che troviamo nel Medioevo inserita nel contado fiorentino in diocesi di Fiesole. Greve era allora “un piccolo borgo nel piviere di San Cresci di Monteficalli”, destinato però a svilupparsi come “mercatale” ad un incrocio di strade che conducevano a Firenze, nel Valdarno superiore, in val di Pesa e nel Chianti.

Anche se altre località svolsero funzioni di luogo di scambi, come Strada e Rubbiana, crebbe poi tanto da divenire capoluogo della omonima comunità leopardina che, nella seconda metà del XVIII secolo, sostitui’ le “leghe” di Val di Greve e di Cintoia, già riunite in un unica podesteria. Sul mercatale di Greve, incentrato urbanisticamente sulla suggestiva piazza triangolare ancora cinta di portici, convergevano gli interessi di vari castellieri dei dintorni, i più importanti dei quali erano Montefioralle, una vera e propria “terra murata” con un castello feudale e la chiesa, Panzano, che fu dei Firidolfi ed originò un borgo che fu per secoli il centro più popoloso del territorio, Lamole, di minor consistenza ma al centro di un’ area di intenso popolamento sparso, e più lontano, sul versante opposto dei Monti del Chianti, Lucolena, che ha perso ormai le fortificazioni.

La parte settentrionale del territorio comunale era occupata dalla lega che prendeva il nome dal castello di Cintoia, sulle pendici occidentali del Montescalari e forse di origine longobarda, che nel XVII e XVIII secolo troviamo come principale centro della Val d’ Ema, in grado di gestire una certa autonomia ma oggi con i caratteri di un piccolo borgo rurale. Altrettanto può dirsi di Dudda, antico feudo dei conti Guidi, mentre più munito di difese appare ancora Sezzate, che fu sede di un comunello rurale.

Molti dei numerosi castelli della podesteria sono stati in seguito trasformati in ville e fattorie, come Uzzano, della famiglia del celebre Niccolò, Vicchiomaggio, il Viculo de Longobardis’ del X secolo, Mugnana, con interessanti elementi architettonici del Duecento. Altri invece, hanno perso i caratteri originali, come Citille, Collegalle, Convertoie, Rignana, Torsoli, Linari, o conservano qualche resto medievale, come Montegonzi e le Stinche (ora Stinche Alte ma già in comune di Radda), mentre di altri ne è addirittura difficile l’ ubicazione, come Montagliari e Robbiana. Numerose sono anche le “case da Signore” medievali trasformate poi in ville, delle quali ricordiamo almeno Verazzano, che appartenne alla famiglia del navigatore Giovanni, Colognole, Vignamaggio, Vitigliano, Santa Lucia.

Ben cinque pievi attestano l’ antica organizzazione religiosa del territorio grevignano: Rubbiana, Cintoia, Sillano, San Cresci e San Leolino, tutte con cospicui resti delle strutture romaniche, in particolare in quest’ ultima, che è affiancata da un chiostro trecentesco, è preceduta da un porticato cinquecentesco e conserva numerose opere d’ arte. Hanno invece perso i caratteri medievali quasi tutte le numerose chiese che dipendevano dalle pievi ricordate, fatta eccezione per quelle di Vicchiomaggio, delle Convertoie e delle Strinche.

Presso Greve sorse anche un piccolo convento francescano, di cui oggi rimane qualche traccia, e si ha notizia di un ospizio sorto vicino a Mercatale; a San Martino in Cecione fu un monastero di donne, la cui chiesa fu ridotta poi a parrocchiale, ma il complesso monastico più consistente fu l’ abbazia vallombrosana di Montescalari, ristrutturata tra Cinque e Seicento da Alfonso Parigi e, dopo la soppressione, trasformata in villa-fattoria.

Espressioni della religiosità popolare degne di rilievo sono l’ oratorio di Sant’ Eufrosino, presso Panzano, dedicato a un santo particolarmente venerato nel Chianti, e la cappella della Madonna della Neve a Montagliari, costruita nel 1632 con pianta a croce circondata da un aereo porticato, oltre a varie costruzioni minori di cui ricordiamo la piccola ma elegante cappella di Ottavo, presso Lucolena.


Piazzale Michelangelo

Piazzale Michelangelo

La Storia del Piazzale Michelangelo

Fu realizzato dal 1869 su disegno dell’architetto Giuseppe Poggi su una collina appena a sud del centro storico, a completamento dei lavori di riqualificazione della riva sinistra dell’Arno. Da quell’anno infatti Firenze era capitale d’Italia e tutta la città era impegnata in un rinnovamento urbanistico, il cosiddetto Risanamento, ovvero la rinascita borghese della città: furono creati i lungarni; sulla riva destra, al posto delle mura trecentesche, furono aperti i viali di circonvallazione alla maniera dei boulevard; sulla riva sinistra fu tracciato, snodandosi sulla collina di San Miniato, il Viale dei Colli, una via panoramica alberata lunga 8 chilometri, al cui culmine fu realizzato il piazzale, quale terrazza panoramica privilegiata sulla città. La cronaca della rapida costruzione di quest’ultima impresa ci è stata particolareggiatamente descritta dal giornalista italiano Pietro Coccoluto Ferrigni (noto con lo pseudonimo di Yorick) che non manca di riferire come una parte dei fiorentini si dispiacesse “per l’eccessiva spesa” della costruzione.

Fra il 1890 e il 1935 l’area ospitò i binari della tranvia del Chianti, che collegava Firenze con San Casciano in Val di Pesa e Greve in Chianti. La piazza, dedicata al grande artista rinascimentale Michelangelo, presenta le copie di alcune sue famose opere conservate a Firenze: il David e le quattro allegorie delle Cappelle Medicee di San Lorenzo. Queste copie sono realizzate in bronzo, mentre gli originali sono tutti in marmo bianco. Il monumento fu portato su da nove paia di buoi il 25 giugno 1873. Il Poggi disegnò anche la loggia in stile neoclassico che domina l’intera terrazza e che oggi ospita un ristorante panoramico. In origine avrebbe dovuto ospitare un museo di opere di Michelangelo, mai realizzato. Nel muro della balconata, posta sotto la loggia, vi è un’epigrafe a caratteri cubitali che ricorda la sua opera: Giuseppe Poggi architetto fiorentino volgetevi attorno ecco il suo monumento MCMXI.

Il panorama abbraccia il cuore di Firenze, dal Forte Belvedere a Santa Croce passando per i lungarni e i ponti di Firenze in sequenza, soprattutto il Ponte Vecchio; spiccano il Duomo, il Palazzo Vecchio, il Bargello e il campanile ottagonale della Badia Fiorentina, senza dimenticare le colline opposte a nord della città con al centro Fiesole e Settignano. Sorge a 104 metri sul livello del mare. Al Piazzale si può accedere in auto percorrendo l’alberato Viale Michelangelo, realizzato in quegli stessi anni, oppure a piedi salendo le scalinate monumentali dette Rampe del Poggi da Piazza Poggi nel quartiere di San Niccolò.

Piazzale Michelangelo con il tram
In passato il piazzale stesso rappresentò un importante snodo della rete tranviaria di Firenze, smantellata completamente entro il 1958: lo stesso era infatti attraversato fin dai primi anni del novecento dalla linea 13 che da Piazza del Duomo attraverso il Ponte alle Grazie e piazza Ferrucci si immetteva sul viale Michelangelo facendo capolinea in Via del Gelsomino, dove era presente un deposito tranviario. Nel 1927, la linea 13 divenne circolare e la si denominò 13 nero con il percorso Piazza Duomo-Piazzale Michelangelo-Porta Romana-Piazza Duomo la circolare inversa era denominata 13 rosso.


Museo del Ciclismo “Gino Bartali”

Museo del Ciclismo “Gino Bartali”

La Storia del Museo del Ciclismo “Gino Bartali”

Il museo è composto da tre sale espositive vere e proprie, una sala lettura, una sala audio/video e un archivio.

La prima sala è dedicata a Gino Bartali e ai suoi cimeli, tra cui coppe vinte dal grande ciclista, una maglietta da gara e altri oggetti da lui posseduti. La seconda sala è dedicata a altri ciclisti (con le loro biografie e varie maglie), mentre la terza presenta un’interessante raccolta di biciclette d’epoca, tra cui quelle appartenute a grandi campioni come Giuseppe Olmo, Fausto Coppi, Antonio Maspes.

Nella sala audio/video vengono testimoniati vari aneddoti, raccontati spesso dalle registrazioni dei diretti interessati.