Certosa di Firenze
La Storia della Certosa di Firenze
Fu edificata a partire dal 1341 da Niccolò Acciaiuoli, Gran Siniscalco del Regno di Napoli e membro di una delle più illustri casate fiorentine su modello della Grande Chartreuse, la prima casa dell’ordine dei certosini costruita sul Massiccio della Chartreuse, vicino a Grenoble, e come tutte le certose anche questa è ubicata distante dalla città, in un luogo in origine solitario e silenzioso.
Dopo le soppressioni degli ordini religiosi nel 1810 la Certosa venne spogliata di circa 500 opere d’arte, solo in parte restituite dopo la restituzione ai Certosini e il ritorno dei Lorena (1818). Molti degli arredi vennero irrimediabilmente dispersi. La tavola dell’altare maggiore, commissionata dallo stesso Niccolò Acciaiuoli a Gherardo Starnina (Madonna e Santi), è ora divisa fra musei stranieri e collezioni.
La Certosa è composta da vari edifici: chiesa di San Lorenzo, sala capitolare, sagrestia, refettorio, chiostri, officine ed abitazioni per i monaci ed i conversi. I monaci di clausura disponevano di una cella piuttosto grande, poiché vi dovevano trascorrere la quasi totalità della loro esistenza, in meditazione.
Lo spazio era fondamentale per i monaci, vista la loro condizione di isolamento: gli unici momenti di aggregazione, eccettuati i pranzi domenicali/festivi, erano le funzioni in chiesa e l’ora settimanale di conversazione e ricreazione, che si svolgeva nel cosiddetto “parlatorio”, opera mirabile per i sedili in legno e le vetrate policrome del 1500-1600 (le prime due più semplici, le altre molto elaborate).
La fondazione della chiesa di San Lorenzo, a navata unica, risale al Trecento: fu iniziata nel 1341 e consacrata nel 1394.
Straordinari sono gli stalli in noce intagliati, opera del 1570-1590 di Angelo Feltrini, con l’aiuto dei figli di Giuliano di Baccio d’Agnolo e Domenico Atticciati. Si distinguono per la ricchezza della decorazione e la fantasia delle figure intagliate. Il coro trecentesco invece si trova nell’altra chiesa della Certosa, Santa Maria Nuova.
Di legno intagliato sono anche le statue dei santi poste in cima all’abside dell’altare: ad un primo sguardo, esse inganneranno l’osservatore, poiché furono dipinte di bianco, a simulazione del marmo, per evitarne il saccheggio durante le campagne napoleoniche.
Il pavimento a marmi policromi, costruito nel coro nel 1573 e nel presbiterio tra il 1591 e il 1594, fu ispirato ad altre opere fiorentine che a loro volta si rifanno alla tradizione della decorazione dei più sontuosi edifici antichi di Roma.
Nella sagrestia della chiesa si trovano gli affreschi più antichi di tutto il complesso: un Cristo benedicente, due santi con cartiglio, un angelo con la spada e un’Annunciazione su due pannelli.
I Certosini, monaci di rigida clausura, vennero sostituiti nel 1958 dai benedettini cistercensi, che hanno reso accessibile il vasto complesso anche al pubblico. Dal 2017 i cistercensi sono stati sostituiti dalla Comunità di San Leolino.
Galluzzo
Le Origini del Galluzzo
Alcuni attribuiscono l’origine del curioso nome del borgo alla nobile famiglia Galluzzo o Galluzzi (nei testi di archivio in latino compaiono come Gallutius) di antiche origini bolognesi e legata al partito guelfo, che in questa zona aveva possedimenti ed esercitava l’attività di “biadaioli”, e che aveva per stemma proprio un gallo d’oro in campo azzurro, o nel ramo dei podestà di Volterra, portava in araldo un gallo rosso in campo d’argento. Altri ancora affermano che il nome Galluzzo derivi da una vecchia osteria posta lungo la strada che da Firenze andava verso Roma, che aveva un’insegna appunto a forma di gallo di probabile origine romana. Va detto anche però che questa insegna non era altro che la riproduzione di un galletto scolpito sopra una pietra miliare a colonna posta ai bordi di quella strada. È probabile che quest’ultima ipotesi sia la più accettabile, dato che anche lo storico Andrea Dei, nella sua Cronica Senese del 1253 afferma che “una compagnia di armati senesi e pisani fece una rapida scorreria infino alla pietra del Galluzzo presso Firenze, e per onta tagliarono il capo al galluzzo”.
Il tardo duecentesco borgo del Galluzzo Vecchio, che in origine doveva essere costituito da una quindicina di case e ville sparse tra il ponte della Certosa e la chiesa di Santa Lucia a Massapagani, si sviluppò con un gruppo di edifici di abitazioni, sorto all’angolo di via Massapagani con via Barni attorno ad una casa da signore del ‘300.
Badia a Passignano
La Storia di Badia a Passignano
L’abbazia di San Michele Arcangelo è un monastero vallombrosano del X sec. in località Passignano di Tavarnelle. Più volte distrutto e ricostruito, oggi appare più come un castello che come una comunità monastica.
Il complesso è racchiuso da mura quattrocentesche con torri d’angolo con evidenti integrazioni neogotiche del XIX secolo quando e si apre su una corte che si raggiunge attraversando un viale di cipressi.
Attualmente il monastero è occupato da una piccola comunità di monaci vallombrosani e può essere visitato su richiesta la domenica pomeriggio, quando uno dei monaci è disponibile come guida. Dalla porta principale si entra in una piccola piazza caratterizzata da due torri. L’entrata in pietra è databile al XV secolo. Il refettorio, la cucina e le stanze capitolari sono aperte sul chiostro e possono essere visitate. Tra le strutture della Badia c’è la chiesa di San Michele Arcangelo la cui origine è da datarsi al XII secolo. La chiesa possiede un’unica navata a forma di croce latina. Fu ricostruita nella seconda metà del XVI secolo e internamente affrescata da Domenico Cresti, detto il Passignano e da Alessandro Allori. All’interno dell’abbazia si trovano numerose opere d’arte, come un reliquiario della scuola del Cellini ed una statua di San Giovanni Gualberto di Giovanni Battista Caccini.
All’interno dell’abbazia si trovano un’antica biblioteca con pergamene e libri antichi. Nel refettorio del monastero si trova l’affresco dell’Ultima Cena opera del XV secolo di Domenico e Davide Ghirlandaio.
Fuori dalle mura della Badia è il piccolo borgo di Passignano con una casa-torre del XII secolo e la chiesa di San Biagio.
Castello di Montefioralle
CASTELLO DI MONTEFIORALLE
Montefioralle è il castello di Greve in Chianti ed era conosciuto come Monteficalle per poi divenire Montefioralle nel XVIII secolo.
Il castello viene citato diverse altre volte all’inizio del XII secolo come una curtis in cui venivano rogati atti ufficiali, atti conservati nell’archivio della Badia a Passignano. Tra questi documenti quello datato 4 marzo 1122 è di particolare interesse; in quel documento viene certificata la vendita di un bene tra un tale Benne di Gerardo e Gisla di Guinildo insieme alla madre Ermengarda del fu Rolando, i personaggi di questa vicenda portano tutti un nome di origine germanica tanto che si è ipotizzato che fossero esponenti di una famiglia nobile di stirpe longobarda.
In epoca successiva il castello e borgo di Monteficalle fu di proprietà dei Ricasoli, dei Benci di Figline e dei Gherardini di Montagliari.
Il borgo si trovava lungo una strada chiamata via del Guardingo di Passignano, questa strada metteva in comunicazione le tre principali valli della parte meridionale del contado fiorentino, la Val d’Elsa, la Val di Pesa e la Val di Greve con il Valdarno Superiore.
Sviluppandosi intorno all’antico castello il borgo ha preso una pianta di forma ellittica, composto da una strada radiale dalla quale si dipanano dei vicoletti facenti tutti capo al cassero feudale. Dell’antico cassero oggi è rimasta una poderosa struttura a pianta rettangolare che presenta un rivestimento in filaretto di pietra alberese. Il complesso, oggi scapezzato e ridotto ad uso abitativo, dovrebbe risalire tra la Fine del XII e l’inizio del XIII secolo.
Tutto intorno all’abitato sorgono le mura di cinta che ripetono la forma del borgo. Le parti di mura ancora oggi conservate presentano i resti di alcune torri, oggi convertite in abitazioni, e le tre porte di accesso, tutte aperte direttamente nelle mura. Le mura realizzate interamente a sasso scapezzato sono da datarsi tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV.
Il tessuto urbano si presenta con uno stile molto unitario, caratterizzato da edifici con strutture medievali. Tra questi edifici si segnalano una casa ritenuta essere stata di proprietà della famiglia Vespucci e un’altra che presenta un bel portale a sesto acuto con sopra uno stemma del Bigallo. L’edificio sacro del borgo è la chiesa di Santo Stefano.
San Casciano in Val di Pesa
La Storia di San Casciano in Val di Pesa
Il territorio di San Casciano risulta abitato già in epoca etrusca come dimostrano i ritrovamenti di Montefiridolfi (Tomba dell’Arciere) e Valigondoli (scavi di Poggio La Croce). In epoca romana era una stazione di posta (mansio) al decimo miglio da Florentia.
Il toponimo Decimo che ancora si lega alla pieve di Santa Cecilia, presso San Casciano Val di Pesa, citata già nel 1043, costituisce il ricordo di una pietra miliare (decimum lapidem) di un’importante strada romana, forse quella che doveva unire le colonie di Florentia e Sena Julia. Ritrovamenti archeologici e stratificazione toponomastica attestano l’antichità dell’insediamento, la cui densità sembra trovare conferma nella presenza sul territorio di ben quattro pievi (oltre a Decimo, San Pancrazio, Sugana e Campoli) e di un elevato numero di chiese che da queste dipendevano, relative ai vari “popoli”. Questa densa umanizzazione, che oggi distingue il paesaggio delle campagne attorno a San Casciano, era certamente in atto già nel Medioevo, appoggiata in un primo tempo ai numerosi castelli che vi sono documentati come infeudati all’episcopato fiorentino o a potenti consorterie, quali i Gherardini, Buondelmonti e i Cavalcanti, e che oggi appaiono trasformati in ville-fattorie (Bibbione, Castelvecchio, Fabbrica, Lilliano, Montefiridolfi, Montepaldi, Pergolato e altri) o declassati a dimore rurali (Argiano, Castelbonsi, Montauto, Monteclavi, Montecampolesi, Montefolchi).
San Casciano viene inizialmente ricordato come feudo dei vescovi fiorentini, che nel 1241 concessero i primi statuti civili. In seguito, nel 1278, l’amministrazione passò alla repubblica di Firenze. Poco dopo divenne capoluogo di una Lega e quindi di una Podesteria comprendente anche la Lega di Campoli, per un totale di oltre quaranta “popoli”. L’importanza raggiunta da San Casciano è tale che, nello Statuto della Podestà del Comune di Firenze del 1325, una delle principali strade che escono dalla città è detta “strada per quam itur ad Sanctum Cassianum”, che è poi quella che conduce “versus civitatem Senarum et versus romanam Curiam”. Che poi San Casciano fosse intimamente legato alla viabilità lo dimostra la sua stessa forma urbana, originata da un incrocio di strade: quella ricordata ed un’altra che, con andamento prevalente di crinale, percorreva le colline alla destra della Pesa, dal Chianti a Montelupo, sull’Arno. Tuttavia, determinante al fine del suo sviluppo fu anche la crescita della produttività agricola legata all’affermazione della mezzadria, che accentuò la diffusione dell’insediamento sparso e la formazione di centri di scambio, quali Mercatale e lo stesso castello di San Casciano “a Decimo” che assunse i caratteri di grossa “terra murata”, munita di forti difese subito dopo la metà del Trecento, ancor oggi largamente attestate.
Nella prima metà del Trecento infatti, privo di qualsiasi difesa, San Casciano diventò preda di condottieri e capitani di ventura. Fu occupato prima da Arrigo VII Imperatore dal novembre 1312 al 13 gennaio 1313 quindi da Castruccio Castracani che nel febbraio 1326 saccheggiò il borgo e lo arse, infine nel luglio del 1343 da Fra Moriale. Proprio a seguito di questi fatti, la repubblica fiorentina decise nel 1354 di fortificare il borgo. Le mura di forma vagamente poligonale erano pronte nel 1355 e a maggior garanzia di difesa nel 1356 fu aggiunto un cassero, in parte tuttora esistenti.
In precedenza il Duca d’Atene aveva progettato di trasformare il villaggio in un castello da ribattezzare “Castel Ducale”, ma il progetto tramontò insieme al suo ideatore. Nel 1420 Sancasciano ospita il Papa Martino V presso una proprietà dei Vettori, denominata La Torre, lasciandovi in ringraziamento un’indulgenza chiamata “Perdoncino” da celebrarsi ogni 15 di settembre nella adiacente cappella intitolata a Santa Maria della Pace]. Nel 1494 Carlo VIII re di Francia si accampò in prossimità del paese senza però farvi ingresso. Prima di andarsene comunque fece una cospicua donazione al locale convento francescano. Nel 1512 presso L’Albergaccio (località Sant’Andrea in Percussina) iniziò l’esilio di Niccolò Machiavelli e fu in quel periodo che poté scrivere le sue opere più note come Il principe e la Mandragola. Con la nascita del Granducato di Toscana cessò la sua funzione militare e la storia seguì quella regionale.
Nel 1880, dopo che il Granducato di Toscana aveva lasciato il posto al Regno d’Italia, gli elettori di San Casciano elessero deputato nella propria circoscrizione quel Sidney Sonnino che sarebbe poi diventato Presidente del Consiglio dei ministri dall’8 febbraio al 29 maggio 1906 e dall’11 dicembre 1909 al 31 marzo 1910. Pochi anni dopo, nel 1891, San Casciano venne collegato con Firenze dalla ormai scomparsa tramvia a vapore, voluta per poter dare un collegamento su rotaia verso Firenze anche alla zona del Chianti, che era rimasta esclusa sia dalla Ferrovia Centrale Toscana (Firenze – Empoli – Siena – Chiusi) sia dalla ferrovia Firenze – Roma.
Il 26 luglio 1944 San Casciano subì un devastante bombardamento alleato che unito alle mine tedesche ridussero il paese quasi in macerie. Lenta e non ovunque rigorosa fu la ricostruzione.
Castello di Verrazzano
La descrizione del Castello di Verrazzano
Il Castello di Verrazzano, posto su uno sperone collinare a 20 chilometri da Firenze, domina dall’alto un magnifico panorama sulla Val di Greve. Il Castello ebbe sicuramente origine da un insediamento romano se non etrusco, e quindi longobardo. La torre centrale di costruzione tardo romanica, con l’altra torre poco distante, costituiva un importante centro di vedetta sulla Val di Greve, a controllo dei traffici tra Firenze e Siena. Sin dal secolo XII, in una membrana manoscritta della Badia di Passignano, datata 12 Marzo 1150, si fa già menzione delle magnifiche vigne e oliveti intorno al Castello.
Fra le cronache degli scontri tra Guelfi e Ghibellini leggiamo che nel 1260 i Ghibellini vittoriosi a Montaperti compirono numerose rappresaglie nel Castello di Chiaro da Verrazzano, vendicandosi della fede della famiglia al partito Guelfo.
Attualmente le forme del Castello sono riconducibili al ‘600, quando fu ricostruito a forma di Villa gentilizia l’attuale complesso intorno alla torre centrale merlata e a pietra a faccia-vista.
Il giardino è sormontato da una Cappella e arricchito con due importanti fontane, che ricordano la particolarità di questo angolo del Chianti, ricco di acqua.
Il Castello di Verrazzano è famoso per aver dato i natali al navigatore Giovanni, discopritore della baia di New York, e negli anni 20’ è stato proprietà del marchese Ridolfi fondatore dell’A.C. Fiorentina, la squadra di calcio della città Firenze.
Impruneta
La Storia di Impruneta
Impruneta è celebre soprattutto per l’industria della terracotta (il cosiddetto cotto di Impruneta), per la tradizionale e per la Festa dell’Uva, che si svolge ogni ultima domenica di settembre.
Le sue tradizioni risalgono all’epoca etrusca, successivamente la posizione geografica, le potenzialità del suolo e la relativa vicinanza da Firenze favorirono la nascita di un agglomerato romano.
Il santuario mariano che vi si trova è sicuramente uno dei fattori che hanno reso noto il comune. Notevole anche la piazza Buondelmonti che con i suoi loggiati della fine del Cinquecento ospita le principali feste cittadine.
Tracce di insediamenti etruschi e testimonianze archeologiche rinvenute all’Impruneta rimandano infatti ad un’origine remota del paese, così come è certa la presenza romana testimoniata dai toponimi indicanti le località di Quintole, Valiano, Fabbiolle.
Dotata di uno statuto nel 1415, era governata dal Podestà e da un consiglio formato da undici membri; la Lega, divenuta successivamente Potesteria del Galluzzo, fu divisa nel 1536 con un’ordinanza di Alessandro de’ Medici in quattro quartieri: Legnaia, Santa Margherita a Montici, Giogoli e Santa Maria all’Impruneta.
La successiva trasformazione della Potesteria in Comune, che portò alla separazione sia da Legnaia che da Casellina e Torri, definì 21 popoli nella nuova comunità del Galluzzo.
Dal gennaio 1929 Impruneta è comune autonomo.
Impruneta ha mantenuto nel tempo un forte legame con Firenze: dapprima residenza di campagna di nobili casate come Gherardini, Ricci, Rossi, Antinori, Corsini, poi luogo di villeggiatura per molte famiglie cittadine, oggi il paese e la sua campagna sono preferiti come residenza permanente grazie alla particolare posizione geografica, la facilità delle vie di comunicazione e le ottimali condizioni climatiche.
Gli embrici della cupola di Santa Maria del Fiore del Brunelleschi, i materiali da costruzione delle ville medicee e di tanti palazzi signorili, le sculture dei Della Robbia rappresentano gli aspetti concreti del collegamento culturale tra Impruneta e la città di Firenze.
Greve in Chianti
La Storia di Greve in Chianti
L’ attuale territorio di Greve è una terra di antico insediamento, come provano la stratificazione toponomastica ed alcuni ritrovamenti (Canonica, Citrulle, Casole, Lucolena), che troviamo nel Medioevo inserita nel contado fiorentino in diocesi di Fiesole. Greve era allora “un piccolo borgo nel piviere di San Cresci di Monteficalli”, destinato però a svilupparsi come “mercatale” ad un incrocio di strade che conducevano a Firenze, nel Valdarno superiore, in val di Pesa e nel Chianti.
Anche se altre località svolsero funzioni di luogo di scambi, come Strada e Rubbiana, crebbe poi tanto da divenire capoluogo della omonima comunità leopardina che, nella seconda metà del XVIII secolo, sostitui’ le “leghe” di Val di Greve e di Cintoia, già riunite in un unica podesteria. Sul mercatale di Greve, incentrato urbanisticamente sulla suggestiva piazza triangolare ancora cinta di portici, convergevano gli interessi di vari castellieri dei dintorni, i più importanti dei quali erano Montefioralle, una vera e propria “terra murata” con un castello feudale e la chiesa, Panzano, che fu dei Firidolfi ed originò un borgo che fu per secoli il centro più popoloso del territorio, Lamole, di minor consistenza ma al centro di un’ area di intenso popolamento sparso, e più lontano, sul versante opposto dei Monti del Chianti, Lucolena, che ha perso ormai le fortificazioni.
La parte settentrionale del territorio comunale era occupata dalla lega che prendeva il nome dal castello di Cintoia, sulle pendici occidentali del Montescalari e forse di origine longobarda, che nel XVII e XVIII secolo troviamo come principale centro della Val d’ Ema, in grado di gestire una certa autonomia ma oggi con i caratteri di un piccolo borgo rurale. Altrettanto può dirsi di Dudda, antico feudo dei conti Guidi, mentre più munito di difese appare ancora Sezzate, che fu sede di un comunello rurale.
Molti dei numerosi castelli della podesteria sono stati in seguito trasformati in ville e fattorie, come Uzzano, della famiglia del celebre Niccolò, Vicchiomaggio, il Viculo de Longobardis’ del X secolo, Mugnana, con interessanti elementi architettonici del Duecento. Altri invece, hanno perso i caratteri originali, come Citille, Collegalle, Convertoie, Rignana, Torsoli, Linari, o conservano qualche resto medievale, come Montegonzi e le Stinche (ora Stinche Alte ma già in comune di Radda), mentre di altri ne è addirittura difficile l’ ubicazione, come Montagliari e Robbiana. Numerose sono anche le “case da Signore” medievali trasformate poi in ville, delle quali ricordiamo almeno Verazzano, che appartenne alla famiglia del navigatore Giovanni, Colognole, Vignamaggio, Vitigliano, Santa Lucia.
Ben cinque pievi attestano l’ antica organizzazione religiosa del territorio grevignano: Rubbiana, Cintoia, Sillano, San Cresci e San Leolino, tutte con cospicui resti delle strutture romaniche, in particolare in quest’ ultima, che è affiancata da un chiostro trecentesco, è preceduta da un porticato cinquecentesco e conserva numerose opere d’ arte. Hanno invece perso i caratteri medievali quasi tutte le numerose chiese che dipendevano dalle pievi ricordate, fatta eccezione per quelle di Vicchiomaggio, delle Convertoie e delle Strinche.
Presso Greve sorse anche un piccolo convento francescano, di cui oggi rimane qualche traccia, e si ha notizia di un ospizio sorto vicino a Mercatale; a San Martino in Cecione fu un monastero di donne, la cui chiesa fu ridotta poi a parrocchiale, ma il complesso monastico più consistente fu l’ abbazia vallombrosana di Montescalari, ristrutturata tra Cinque e Seicento da Alfonso Parigi e, dopo la soppressione, trasformata in villa-fattoria.
Espressioni della religiosità popolare degne di rilievo sono l’ oratorio di Sant’ Eufrosino, presso Panzano, dedicato a un santo particolarmente venerato nel Chianti, e la cappella della Madonna della Neve a Montagliari, costruita nel 1632 con pianta a croce circondata da un aereo porticato, oltre a varie costruzioni minori di cui ricordiamo la piccola ma elegante cappella di Ottavo, presso Lucolena.
Piazzale Michelangelo
La Storia del Piazzale Michelangelo
Fu realizzato dal 1869 su disegno dell’architetto Giuseppe Poggi su una collina appena a sud del centro storico, a completamento dei lavori di riqualificazione della riva sinistra dell’Arno. Da quell’anno infatti Firenze era capitale d’Italia e tutta la città era impegnata in un rinnovamento urbanistico, il cosiddetto Risanamento, ovvero la rinascita borghese della città: furono creati i lungarni; sulla riva destra, al posto delle mura trecentesche, furono aperti i viali di circonvallazione alla maniera dei boulevard; sulla riva sinistra fu tracciato, snodandosi sulla collina di San Miniato, il Viale dei Colli, una via panoramica alberata lunga 8 chilometri, al cui culmine fu realizzato il piazzale, quale terrazza panoramica privilegiata sulla città. La cronaca della rapida costruzione di quest’ultima impresa ci è stata particolareggiatamente descritta dal giornalista italiano Pietro Coccoluto Ferrigni (noto con lo pseudonimo di Yorick) che non manca di riferire come una parte dei fiorentini si dispiacesse “per l’eccessiva spesa” della costruzione.
Fra il 1890 e il 1935 l’area ospitò i binari della tranvia del Chianti, che collegava Firenze con San Casciano in Val di Pesa e Greve in Chianti. La piazza, dedicata al grande artista rinascimentale Michelangelo, presenta le copie di alcune sue famose opere conservate a Firenze: il David e le quattro allegorie delle Cappelle Medicee di San Lorenzo. Queste copie sono realizzate in bronzo, mentre gli originali sono tutti in marmo bianco. Il monumento fu portato su da nove paia di buoi il 25 giugno 1873. Il Poggi disegnò anche la loggia in stile neoclassico che domina l’intera terrazza e che oggi ospita un ristorante panoramico. In origine avrebbe dovuto ospitare un museo di opere di Michelangelo, mai realizzato. Nel muro della balconata, posta sotto la loggia, vi è un’epigrafe a caratteri cubitali che ricorda la sua opera: Giuseppe Poggi architetto fiorentino volgetevi attorno ecco il suo monumento MCMXI.
Il panorama abbraccia il cuore di Firenze, dal Forte Belvedere a Santa Croce passando per i lungarni e i ponti di Firenze in sequenza, soprattutto il Ponte Vecchio; spiccano il Duomo, il Palazzo Vecchio, il Bargello e il campanile ottagonale della Badia Fiorentina, senza dimenticare le colline opposte a nord della città con al centro Fiesole e Settignano. Sorge a 104 metri sul livello del mare. Al Piazzale si può accedere in auto percorrendo l’alberato Viale Michelangelo, realizzato in quegli stessi anni, oppure a piedi salendo le scalinate monumentali dette Rampe del Poggi da Piazza Poggi nel quartiere di San Niccolò.
Piazzale Michelangelo con il tram
In passato il piazzale stesso rappresentò un importante snodo della rete tranviaria di Firenze, smantellata completamente entro il 1958: lo stesso era infatti attraversato fin dai primi anni del novecento dalla linea 13 che da Piazza del Duomo attraverso il Ponte alle Grazie e piazza Ferrucci si immetteva sul viale Michelangelo facendo capolinea in Via del Gelsomino, dove era presente un deposito tranviario. Nel 1927, la linea 13 divenne circolare e la si denominò 13 nero con il percorso Piazza Duomo-Piazzale Michelangelo-Porta Romana-Piazza Duomo la circolare inversa era denominata 13 rosso.
Museo del Ciclismo “Gino Bartali”
La Storia del Museo del Ciclismo “Gino Bartali”
Il museo è composto da tre sale espositive vere e proprie, una sala lettura, una sala audio/video e un archivio.
La prima sala è dedicata a Gino Bartali e ai suoi cimeli, tra cui coppe vinte dal grande ciclista, una maglietta da gara e altri oggetti da lui posseduti. La seconda sala è dedicata a altri ciclisti (con le loro biografie e varie maglie), mentre la terza presenta un’interessante raccolta di biciclette d’epoca, tra cui quelle appartenute a grandi campioni come Giuseppe Olmo, Fausto Coppi, Antonio Maspes.
Nella sala audio/video vengono testimoniati vari aneddoti, raccontati spesso dalle registrazioni dei diretti interessati.